LA DIRETTIVA SUL GREENWASHING: NUOVE DISPOSIZIONI PER L'ETICHETTATURA SOSTENIBILE
Il 6 marzo 2024 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la Direttiva UE 2024/825, conosciuta come Direttiva Greenwashing, la quale stabilisce criteri chiari per la comunicazione delle prestazioni ambientali. Vengono, così, introdotte nuove regole per l'etichettatura dei prodotti, con l’obiettivo di garantire che le informazioni ambientali fornite siano accurate, verificabili e trasparenti.
Categoria: Novità Normativa
Autore: avv. Isabella Ossanna
Responsabile dipartimento:
Avv. Selene Sontacchi
Negli ultimi decenni l’attenzione nei confronti della sostenibilità ambientale è aumentata in maniera esponenziale, cosicché temi quali il rispetto dell’ambiente, il riciclo e riuso, lo sfruttamento moderato e razionale delle risorse sono entrati a far parte del quotidiano di ciascuno.
La sempre maggiore sensibilità dei consumatori rispetto ai principi dello sviluppo sostenibile e l’evoluzione della consapevolezza nei confronti della Corporate Social Responsability hanno condotto all’implementazione di modelli di business e politiche aziendali volte alla realizzazione di obiettivi di ordine sociale e ambientale, ulteriori rispetto a quelli tradizionali di creare ricchezza unicamente in favore dei propri shareholders.
In un tale contesto, è facile comprendere come per le aziende possa divenire sempre più sentita la tentazione di apparire, anziché essere sostenibili, falsando il mercato con inevitabili ricadute negative anche sull’ecosistema.
Il riferimento è, appunto, al fenomeno noto come greenwashing.
Il neologismo inglese nasce negli anni Ottanta ed è il frutto dell’unione dei termini green e whitewash (imbiancare); letteralmente può, quindi, essere tradotto con l’espressione “dare una pennellata di vernice verde”, che rende perfettamente l’idea del meccanismo posto in essere da quelle imprese che mirano unicamente a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, comunicando un impegno e un attaccamento alle politiche ambientali che in realtà non appartiene alla governance aziendale.
Ecco, quindi, che “al fine di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, sulla base di un livello elevato di protezione dei consumatori e dell’ambiente, e di compiere progressi nella transizione verde”, il 20 febbraio scorso il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato in via definitiva la posizione del Parlamento Europeo del 17 gennaio 2024 in merito alla proposta della Commissione sulla Direttiva “che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE, per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione” detta , appunto, Direttiva Greenwashing.
La Direttiva è in vigore dal 26 marzo 2024 e gli Stati Membri dovranno adottare le misure di attuazione interna entro 24 mesi dalla sua entrata in vigore (27 marzo 2026), ciononostante alcune delle pratiche regolate dalla Direttiva sono già oggi considerate ingannevoli sulla base dell’interpretazione delle norme generali contenute nel codice del consumo.
La normativa in esame si applica a tutte le aziende che commercializzano prodotti o servizi nell’Unione Europea, senza distinzione di dimensione o settore di attività, le quali per il caso di mancato adeguamento saranno soggette a sanzioni che possono variare da 5.000 a 10.000.000 di euro e che saranno applicate dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
La Direttiva Greenwashing si pone in rapporto di complementarità con la Direttiva “sull’attestazione e sulla comunicazione delle asserzioni ambientali esplicite (direttiva sulle asserzioni ambientali)” – cosiddetta Direttiva Green Claims – il cui testo definitivo è stato condiviso, ma il cui iter di approvazione è tutt’ora in corso.
La Direttiva Greenwashing interviene modificando la Direttiva 2005/29/CE per quanto riguarda le pratiche commerciali che sono considerate ingannevoli e quindi vietate in base ad una valutazione caso per caso.
Anzitutto, la direttiva Greenwashing prevede che l’art. 6 della direttiva 2005/29/CE sopra citata vada modificato aggiungendo all’elenco delle caratteristiche dei prodotti rispetto alle quali le pratiche di un operatore economico possono essere considerate ingannevoli, quelle ambientali e sociali e gli aspetti relativi alla circolarità.
Il medesimo art. 6 viene modificato aggiungendo, altresì, il divieto di fare ricorso ad asserzioni ambientali relative alla neutralità in termini di emissioni di carbonio o alla neutralità climatica se non risultano corroborate da impegni obiettivi e chiari, pubblicamente disponibili e verificabili definiti in un piano di attuazione dettagliato e realistico che indichi in quale modo tali obiettivi saranno conseguiti e che risorse sono stanziate a tal fine.
Ulteriore modifica all’art. 6 è quella che riguarda il divieto di pubblicizzare come vantaggi per i consumatori caratteristiche che sono irrilevanti ma che potrebbero indurre i consumatori a credere che il prodotto specifico sia più vantaggioso per l’ambiente o la società rispetto ad altri prodotti dello stesso tipo, ad esempio asserendo che una particolare marca di acqua è priva di glutine o che i fogli di carta non contengono plastica.
La Direttiva Greenwashing modica, inoltre, l’allegato I della Direttiva 2005/29/CE aggiungendo pratiche ingannevoli specifiche che sono considerate vietate in ogni caso, ed in particolare:
- esibire un marchio di sostenibilità che non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito da autorità pubbliche;
- formulare un’asserzione ambientale generica per la quale l’operatore economico non è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione
- formulare un’asserzione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso o l’attività dell’operatore economico nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o uno specifico elemento dell’attività dell’operatore economico
- asserire, sulla base della compensazione delle emissioni di gas a effetto serra che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra;
- presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come se fossero un tratto distintivo dell’offerta dell’operatore economico.
La nuova Direttiva interviene anche in tema di obsolescenza precoce, ivi inclusa l’obsolescenza precoce programmata, da intendersi come una “politica commerciale che comporta la pianificazione o la progettazione deliberata di un prodotto con una durata di vita limitata, affinché giunga prematuramente ad obsolescenza o smetta di funzionare dopo un determinato periodo o dopo un'intensità d'uso predeterminata”.
All’allegato I della Direttiva 2005/29/CE vengono quindi aggiunte le seguenti previsioni di pratiche ritenute in ogni caso vietate:
- non informare il consumatore del fatto che un dato aggiornamento del software inciderà negativamente sul funzionamento di beni che comprendono elementi digitali o sull’uso del contenuto digitale o dei servizi digitali;
- presentare come necessario un aggiornamento del software che si limita a migliorare alcune caratteristiche di funzionalità;
- promuovere una comunicazione commerciale relativa a un bene contenente una caratteristica introdotta per limitarne la durabilità, nonostante le informazioni sulla caratteristica e sui suoi effetti sulla durabilità del bene siano a disposizione dell’operatore economico;
- asserire falsamente che, in condizioni d’uso normali, il bene presenta una determinata durabilità in termini di tempo o intensità d’uso
- presentare il bene come riparabile quando non lo è
- indurre il consumatore a sostituire o reintegrare materiali di consumo del bene prima di quanto sarebbe necessario per motivi tecnici
- non informare che la funzionalità di un bene sarà compromessa dall’utilizzo di materiali di consumo, pezzi di ricambio o accessori non forniti dal produttore originale, o asserire falsamente che tale compromissione si verificherà.
In conclusione, dalla sintetica disamina condotta sino a questo momento, è possibile evincere che la Direttiva Greenwashing rappresenta un passo cruciale verso un futuro in cui le dichiarazioni ambientali dovranno essere supportate da fatti concreti e verificabili.
In un mondo sempre più attento alla sostenibilità, la trasparenza e l'onestà non sono solo valori etici, ma elementi fondamentali per guadagnare e mantenere la fiducia dei consumatori. Questo non solo protegge questi ultimi dalle pratiche commerciali ingannevoli, ma promuove anche una concorrenza leale basata su autentici impegni di sostenibilità.
In definitiva, la centralità dell'ESG (Environmental, Social, Governance) nelle strategie aziendali non è mai stata così evidente.
Adottare pratiche sostenibili reali non è solo una responsabilità morale, ma una necessità competitiva.
Siamo tutti chiamati a contribuire a un'economia più verde e trasparente, dove il rispetto per l'ambiente e la verità nelle comunicazioni diventano il vero marchio di eccellenza.