Aprile 2020

Lockdown e diritto di visita genitori-figli

Come le misure di contenimento dell’epidemia da Covid-19 incidono sui tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore

La limitazione della libertà di circolazione delle persone all’interno del territorio nazionale per esigenze di contrasto della diffusione del contagio da Covid-19, quindi per la tutela della salute pubblica, si scontra sovente con altri diritti costituzionalmente garantiti, tra i quali rientra anche il diritto alle relazioni familiari. Nelle famiglie con genitori separati, divorziati o non più conviventi tale diritto si concretizza nei protocolli di visita, che spesso implicano lo spostamento dei figli tra i diversi Comuni di residenza dei genitori. In questo particolare frangente, non mancano i contrasti tra i genitori sulla possibilità o meno di dare attuazione ai predetti protocolli alla luce dell’ultimo DPCM del 10 aprile 2020 e le risposte, del Governo e della giurisprudenza, non sono univoche.

Autore: Dott.ssa Silvia Valcanover

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Privati: Famiglia e patrimonio

Nel corso dell’ultimo mese il succedersi di atti normativi, emanati dal Governo al fine di contrastare il diffondersi dell’epidemia da Coronavirus, ha significativamente compresso la libertà di circolazione delle persone all’interno del territorio nazionale. Il conclamato stato di emergenza ha reso legittima l’adozione di provvedimenti limitativi delle libertà individuali, contingentati temporalmente e proporzionati rispetto alla minaccia di contagio. In un primo tempo, i decreti dell’8 e 9 marzo 2020 hanno stabilito il divieto di circolazione delle persone fisiche “salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute” e precisato che “è consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”.

La normativa d’emergenza non ha precisato alcunché in punto di spostamenti motivati da esigenze di visita genitori-figli, tuttavia che il diritto alla frequentazione dei figli potesse essere ricondotto a comprovate “situazioni di necessità” è stata, al principio, interpretazione accolta in modo sostanzialmente unanime. A tale conclusione sono pervenuti anche i primi giudici investiti della questione: con il provvedimento datato 11.3.2020, il Tribunale di Milano ha infatti ritenuto che le misure Covid non potessero ritenersi preclusive rispetto all’attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori.

Più di recente, tuttavia, il DPCM 22 marzo 2020 ha sancito che “sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e, in ogni caso, è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute e resta anche vietato ogni spostamento verso abitazioni diverse da quella principale comprese le seconde case utilizzate per vacanza”. Il tenore letterale del decreto del 22 marzo 2020, rimasto immutato nel successivo decreto di proroga del 10 aprile 2020, è stato ritenuto nell’immediatezza della sua adozione difficilmente compatibile con la prosecuzione dell’esercizio dei diritti di frequentazione genitore-figli in caso di abitazioni poste in Comuni diversi, non rientrando tale fattispecie né nelle esigenze lavorative, né di salute, né, a stretto rigore, in quelle di “assoluta urgenza”.

La diffusa sensibilità per il tema ha portato tuttavia il Governo, dopo qualche giorno di incertezza applicativa, a chiarire, nella sezione del sito istituzionale dedicata all’emergenza legata al Covid-19, che “… Gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all’altro. Tali spostamenti dovranno in ogni caso avvenire scegliendo il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario (persone in quarantena, positive, immunodepresse etc.), nonché secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio o, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori.” (cfr. FAQ aggiornate al 9.4.2020).

Un’indicazione conforme a quanto precisato nelle appena menzionate FAQ viene riportata anche nel sito della Provincia Autonoma di Trento, nella sezione dedicata all’emergenza sanitaria, in cui si legge, in relazione agli spostamenti sul territorio provinciale: “Gli incontri tra padri/madri separati/divorziati e figli sono consentiti anche se vivono in paesi diversi” (vademecum sul Coronavirus in Trentino, aggiornato al 25.3.2020).

Anche l’ultimo Modello di autocertificazione rilasciato dal Governo dopo il DPCM 22 marzo 2020 contiene un elenco esemplificativo delle motivazioni adducibili per giustificare i propri spostamenti, tra le quali si legge anche “obblighi di affidamento di minori”.

Ancor oggi, pertanto, secondo l’interpretazione governativa, la limitazione alla libertà individuale di circolazione non incide direttamente sulla regolamentazione dei tempi di permanenza dei minori presso ciascun genitore, così come stabilita da un provvedimento giudiziario o da un accordo stragiudiziale raggiunto dai genitori.

Tuttavia, in seguito della stretta attuata dal Governo con il DPCM del 22 marzo, taluni giudici si sono mostrati meno inclini ad avvallare in casi specifici la frequentazione del genitore non collocatario con i figli minori. In particolare, la Corte d’Appello di Bari, con ordinanza del 26.3.2020, ha ritenuto che “il diritto - dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi, nell’attuale momento emergenziale, è recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie”. Parimenti, il Tribunale di Napoli, con decreto del 26.3.2020, ha valutato eccessivamente rischioso lo spostamento dei minori in questa peculiare contingenza. Entrambe le pronunce hanno stabilito che il colloquio da remoto con l’altro genitore venga garantito tramite videochiamata.

Di opinione difforme si è mostrato invece il Tribunale di Busto Arsizio, il quale, chiamato a decidere in merito al ripristino degli incontri padre/figli interrotti dal Servizio Sociale, con decreto del 3.4.2020, ha condiviso l’interpretazione ampia delle disposizioni emergenziali proposta dalla difesa del padre, dando evidenza al fatto che la sospensione dei rapporti padre/figli non può discendere “da valutazioni di “opportunità”, ma solo da preclusioni normative”. Il Servizio è stato, quindi, chiamato a riferire sulle ragioni della sospensione dei rapporti genitore/figli.

Le citate pronunce, ancorché aventi efficacia limitata alle sole parti in causa, rappresentano pur sempre un precedente giurisprudenziale. Esse, va detto, costituiscono attualmente isolati pronunciamenti, senz’altro rivelatori dell’attuale incompletezza ed ambiguità normativa, ma non particolarmente indicativi di quella che potrà essere la soluzione maggiormente condivisa dalla giurisprudenza che dovesse essere chiamata in questo periodo a decidere altri casi concreti.

La circostanza che le indicazioni governative vadano in senso opposto rispetto a quanto deciso dai giudici di Bari e Napoli non appare invero dirimente, dato che i chiarimenti, pur fornendo – senza dubbio – un’autorevole interpretazione delle misure emergenziali, proveniente dallo stesso organo che le ha emanate, non assurgono a rango di legge ed i giudici non posso dunque dirsi vincolati a tale interpretazione nel valutare specifiche situazioni di fatto sottoposte al loro esame.

Ciò premesso, se il dubbio da chiarire è se lo spostamento di un genitore fuori dal proprio Comune di residenza per attuare i diritti di visita sia lecito secondo le attuali disposizioni di legge, la risposta non può che ritenersi positiva, stante il tenore inequivocabile sia delle FAQ presenti sul sito del Governo sia peraltro dei contenuti del Modello di Autocertificazione

Se, invece, il dubbio riguarda la possibilità o meno di limitare temporaneamente il diritto dell’altro genitore alla frequentazione del figlio per ragioni che, nel caso concreto, potrebbero generare un maggiore pericolo di contagio o un rischio alla salute più elevato, la risposta al quesito è tutt’altro che scontata. Nel caso in cui vi fossero infatti obiettive ragioni di preoccupazione rispetto al rischio-contagio (come nel caso di genitore che sia maggiormente esposto al pericolo di contagio sul luogo di lavoro, oppure conviva con soggetti a rischio, o ancora presenti una sintomatologia tipica del virus), non può escludersi che un giudice, valutato l’interesse del minore e le circostanze concrete, possa pervenire ad una decisione limitativa del protocollo di visita.

In ogni caso, è bene rammentare che, in assenza di un accordo tra i genitori, il rifiuto opposto da uno solo di essi a dare attuazione ai protocolli vigenti deve ritenersi illegittimo, tanto più se non accompagnato dalla presentazione, anche in via d’urgenza, di un’istanza al Giudice volta a veder disciplinato il caso specifico in ragione delle circostanze contingenti.