REGISTRAZIONI OCCULTE DI CONVERSAZIONI NEL LUOGO DI LAVORO
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con sentenza n. 28938 del 29 settembre 2022, torna a fare il punto sulla questione relativa alla legittimità ed utilizzabilità delle registrazioni di conversazioni ottenute in maniera occulta nel luogo di lavoro
Categoria: Orientamento giurisprudenziale
Autore:
Avv. Marco Pegoraro
Responsabile dipartimento:
Avv. Marco Pegoraro
Imprese: Diritto del lavoro e delle relazioni industriali
Nell’ambito delle controversie giudiziarie in materia di diritto del lavoro, è prassi molto diffusa il deposito agli atti di files contenenti registrazioni di conversazioni occultamente ottenute all’interno degli ambienti di lavoro dal dipendente (chiunque, ormai, è dotato di cellulare o smartphone con registratore incorporato).
Ci si chiede, dunque, se tali registrazioni siano legittimamente acquisibili e se possano costituire valide fonti di prova nel processo. Più specificamente, il quesito concerne anzitutto la eventuale rilevanza disciplinare della condotta del lavoratore il quale, registrando occultamente una conversazione tra colleghi, viola il diritto alla riservatezza di questi ultimi; in secondo luogo, occorre stabilire entro quali limiti siano utilizzabili in giudizio le registrazioni così ottenute.
Tutti i suddetti profili sono stati da ultimo affrontati dalla sentenza n. 28938 dello scorso 23 settembre 2022 della sezione lavoro della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione ha al proposito ricordato che la registrazione di una conversazione tra presenti può costituire fonte di prova entro limiti e condizioni specificamente individuate. Si è, in particolare, statuito che la registrazione su nastro magnetico di una conversazione può costituire fonte di prova, ex art. 2712 c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro, e sempre che almeno uno dei soggetti, tra i quali la conversazione si svolge, sia parte in causa.
Nel valutare se la condotta di registrazione di conversazioni tra un dipendente e i suoi colleghi presenti, all'insaputa dei conversanti, potesse integrare una grave violazione del diritto alla riservatezza che giustifica il licenziamento, la Corte, richiamando precedenti conformi (Cass. n. 11322 del 2018; Cass. n. 12534 del 2019; Cass. n. 31204 del 2021) ha chiarito che la normativa in materia di privacy permette di prescindere dal consenso dell'interessato quando il trattamento dei dati sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento; sicché, l'utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall'altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio. Si è quindi affermata la legittimità (ossia l’inidoneità all'integrazione di un illecito disciplinare) della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Cass. 10 maggio 2018, n. 11322).
Secondo la Suprema Corte "il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso. Non a caso nel codice di procedura penale il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall'art. 24 Cost. sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento". Da tali premesse si è tratta la conseguenza che la condotta di registrazione di una conversazione tra presenti, ove rispondente alle necessità conseguenti al legittimo esercizio per diritto di difesa, e quindi "essendo coperta dall'efficacia scriminante dell'art. 51 c.p., di portata generale nell'ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico", non può di per sé integrare illecito disciplinare (Cass. n. 27424 del 2014), esigendosi un attento ed equilibrato bilanciamento tra la tutela di due diritti fondamentali, quali la garanzia della libertà personale, sotto il profilo della sfera privata e della riservatezza delle comunicazioni, da una parte e del diritto alla difesa, dall'altra (così Cass. n. 31204 del 2021).
Riepilogando, quindi:
- La registrazione occulta di conversazioni effettuata dal lavoratore è condotta illecita in quanto posta in essere in violazione della riservatezza altrui e dunque passibile di provvedimento disciplinare;
- Il carattere dell’illiceità e la relativa rilevanza ai fini disciplinari della predetta condotta vengono meno a condizione che l’utilizzo dei dati acquisiti sia necessario per far valere o difendere un diritto, che essi siano utilizzati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.
Ogniqualvolta ci si imbatta, pertanto, in registrazioni occultamente ottenute nel luogo di lavoro, sarà necessario verificare attentamente se le stesse siano state acquisite nel rispetto delle condizioni sopra illustrate.